03-01-2021 / inpocheparole, cartoline, viaggi
"Linköping" in poche parole
Nasce il nuovo format delle #cartoline! Sembrerà una cosa stupida, ma in questo periodo difficile mi ha aiutato molto rivivere e riconsiderare le avventure del passato che non ho mai raccontato, magari leggerle e guardarle sotto una luce diversa distrarrà anche voi!
Era l’11 dicembre 2017 e la nostra avventura svedese iniziava così: tutto è cominciato quando ad Arianna e me è venuta la malsana (quanto bellissima e azzeccata) idea di andare a trovare Irene, all’epoca in Erasmus a Linköping, in Svezia.

L’Ariò già viveva a Firenze, quindi la sera precedente alla partenza è arrivata alla stazione di Treviso portando con se un bell’acquazzone come non succedeva da parecchie settimane…“nulla di che” verrebbe da dire, ma invece no: dopo una serie di peripezie riguardanti il trasporto fino all’aeroporto sulle quali sorvolerò deliberatamente, una volta arrivate a Venezia abbiamo scoperto che il nostro volo aveva due ore di ritardo causa maltempo.
Lì per lì non ci siamo preoccupate, avevamo due ore e mezza di scalo a Monaco quindi teoricamente ci saremmo dovute salvare, ma il destino aveva altri programmi per noi quel giorno…dopo un impressionante recupero da parte del pilota, siamo arrivate con in anticipo rispetto alle previsioni, per poi ricevere la notizia di un ulteriore ritardo di tre ore (poi diventate tre ore e mezza). Un rapido riassunto per farvi comprendere l’odissea di questo viaggio di andata: il nostro arrivo in serata a Stoccolma prevedeva il successivo viaggio in Flixbus di due ore (oltre ad un tragitto in autobus) per arrivare al dormitorio di Irene a Linköping per le 21.30…siamo arrivate a mezzanotte inoltrata dopo due Flixbus cancellati, un treno improvvisato e il famoso autobus.
E fu così che venne inaugurata la nostra permanenza in Svezia. Al nostro arrivo (giuro appena smontate dal treno) a Linköping è iniziato a nevicare, una di quelle belle nevicate coi fiocchi ciccioni: la prima neve di quell’inverno, di parecchio in ritardo rispetto ai precedenti anni. Vedendola è stato normale pensare che fosse merito dell’Ariò, viste le doti magiche che aveva rivelato al sera precedente (e che come scoprirete continuerà a manifestare durante questo viaggio), tutto regolare. Come dicevo, alla fine di quell’odissea siamo arrivate al dormitorio di Irene, nostra casa per i successivi cinque giorni (nello specifico la sala comune accanto alla cucina, dove alcuni coabitanti cucinavano ragù alle 8:00 di mattina ascoltando un’improbabile versione svedese de “la canzone del sole”) a mezzanotte passata dopo aver sorseggiato bevande locali per tutto il viaggio.

Nel primo giorno ufficiale di vacanza, le uniche energie che ci rimanevano le abbiamo usate per affrontare un lungo (perché abbiamo perso il conto di quante volte abbiamo sbagliato strada per colpa del mio navigatore - sono fermamente convinta di avere tutt’ora problemi di magnetismo) viaggio in bici fino alla più vicina Ikea, per far ammirare ad Ariò tutto il mondo dell’arredo svedese. Tipo full immersion.
Veniamo però al terzo giorno, quello in cui le sue doti di gestione meteorologica si sono del tutto palesate ai miscredenti: la tappa a Stoccolma (che comportava il prendere il tanto acclamato Flixbus di due ore). All’arrivo abbiamo optato per lasciarci coinvolgere dalla città vagando a caso per le sue strade, ma questa fase è durata all’incirca mezz’ora, ovvero fino a quando non abbiamo dovuto ripararci dalla neve cadente (sempre portata dalla mia compagna di avventure) trovando una pasticceria per regalarci un fika-time. Quindi, munite di mappa - rigorosamente cartacea - abbiamo deciso le pretenziose mete della giornata, sfumate a poco a poco (avevamo una capacità di attenzione molto bassa in quel frangente e ci facevamo distrarre da tutto, sarà stata colpa del freddo). Dopo esserci nuovamente riparate all’interno di una chiesa - tipo di luogo universalmente riconosciuto per le fonti di calore - abbiamo sgambettato nel tentativo di entrare al Museo dei giocattoli. Perché dico “tentativo”? Perché per nostra immancabile fortuna, il museo aveva chiuso i battenti poco prima e non era ancora stato tolto dalle mappe. Nessun problema, si va alla meta successiva: il Fotografiska! Prima e ultima meta ad essere oneste, però è valsa davvero la pena attraversare l’intera città a piedi.
P.S. A parte gli scherzi, Stoccolma è fuori dal comune sotto moltissimi aspetti, anche se abbiamo deciso di viverla poco turisticamente quel giorno…a voi è mai successo di vivere una città senza pensieri?

Il resto della vacanza lo abbiamo vissuto con Irene e i suoi colleghi di università visitando città limitrofe come Norrköping (da segnalare il Museo d’Arte Contemporanea della città e il Light-Festival di quei giorni) e ingozzandoci nelle pause quotidiane altrimenti dette “fika” fino all’ultimo giorno. Prima di partire però c’è stata un’ultima tappa, ovvero Gamla Linköping. Se non ricordo male è la parte più vecchia della città, un paesino fiabesco fatto di case di legno rosse, proprio come il tronco degli alberi che lo circondano, e nel quale abbiamo respirato con qualche giorno di anticipo l’atmosfera di un Natale lontano. Dopo aver lasciato Irene in quella coltre di neve, siamo ripartite in corriera verso l’aeroporto per ritrovarci a cenare lì (momento in cui la voracità carnivora di Ariò si è ripresentata mentre sceglieva di prendere un burger del McDonald). Innegabile il fatto che ormai fossimo stupide da quanto sfinite, ma senza dubbio è uno dei viaggi più memorabili che abbiamo fatto fin ora - soprattutto perché al ritorno era tutto in orario nonostante piovesse a dirotto.

Si ricordano e ringraziano:
• i materassi gonfiabili;
• il cappello e il giaccone di Gigi e gli scarponi più grandi di due numeri di mia madre;
• la Julmust, che va a finire che la bevi anche se non ne sei poi così convinto;
• le incomprensibili versioni svedesi di canzoni italiane;
• il vin brulé pronto all’uso;
• i cetrioli monoconfezione per le numerose risate;
• la dose industriale di involtini primavera consapevolmente comprata da Irene e Beatrice;
• la Fika, in tutti i sensi;
• il cibo italiano, perché sai che esiste quando tornerai a casa (e questo punto credo si ripeterà in più occasioni);
